Maria Luisa Bellavia, una delle mamme storiche di Agedo Nazionale ci ha
lasciati il 10 febbraio.Per ricordare il suo impegno e il suo coraggio, ecco un suo intervento di quasi di 10 anni fa,
ancora tremendamente attuale, che suo figlio Marco ci ha gentilmente
concesso di pubblicare sul sito. A Marco e alla famiglia il nostro
abbraccio affettuoso. A Maria Luisa la nostra gratitudine per il lavoro
pionieristico svolto in Italia come genitore Agedo.
MINORI E FAMIGLIE SENZA DIRITTI:
LA SCUOLA DAVANTI AGLI ADOLESCENTI OMOSESSUALI
Marialuisa Muscarà Bellavia
Agedo Onlus – Genitori di Omosessuali
( 2005)
Come madre di un giovane omosessuale, appartengo all’associazione
di volontariato AGEDO, che è tra i sostenitori di questo convegno insieme
alle associazioni “31 ottobre”, “Genitori Democratici”, “Semaforo blu”,
“Rete Scuole” e Centro Culturale Protestante.
Noi genitori di omosessuali sappiamo bene come la scuola italiana non
pensi ai nostri figli come a dei soggetti da educare secondo la propria
identità, e non si preoccupi mai dei nostri problemi che, forse, considera
fatti privati.
In realtà i problemi degli adolescenti omosessuali e delle loro famiglie
hanno una chiara dimensione pubblica, non solo perché i nostri figli non
sono un’esigua minoranza e costituiscono il 5-10% della popolazione
scolastica, bensì perché un clima scolastico disagevole e disagiato per un
adolescente omosessuale si ripercuote sulla famiglia e su tutte quelle
persone che lo frequentano: i compagni e le compagne, i docenti, gli
educatori, il gruppo dei pari; tutti quelli che si trovano in relazione con
una persona che non si sente prevista in questo mondo, che non trova con
chi interagire alla pari, con chi confidarsi senza temere lo scherno e il
giudizio morale.
Questi nostri figli, adolescenti spesso in crisi per la loro difficile
situazione di accettazione personale, trovano nella scuola, tra compagni
e insegnanti, nuove difficoltà e sofferenze causate dallo stigma sociale,
da azioni di bullismo poco conosciute e non contrastate; vivono nel
silenzio più assoluto: c’è una negazione da parte del mondo scolastico,
dell’esistenza stessa del problema o, quanto meno, dell’idea che un
problema così scottante sia di sua competenza.
Credo che quanto ora vi leggerò, scritto da uno studente sedicenne
veronese in forma di lettera – un po’ sgrammaticata - possa aiutarvi a d
intuire, almeno parzialmente, lo stato d’animo di un giovane
omosessuale, la sua angoscia, la paura di non essere capito in famiglia e
nella società. Venne recapitata , su un foglietto, alla sede del movimento
gay di Verona.
“Verona 3 di giugno 1999
L’altro giorno mentre stavo con la mia compagnia, un ragazzo ha
detto che, mentre stava ascoltando la radio dei comunisti ha sentito una
trasmissione di froci, i quali parlavano di un ragazzo che si è ucciso
perché lo avevano scoperto a scuola, che stava con un altro. Quando ho
sentito quello che diceva questo ragazzo, mi è venuto un colpo al cuore,
perché questo ragazzo che è morto si chiamava Luca, una volta ci hanno
trovati insieme nella doccia della palestra.
Io però ho dovuto dire che era stato lui, sennò i compagni di scuola
andavano a dirlo ai proff e mi sputtanavano anche con la mia famiglia
così mio padre mi portava dal psicologo e mi metteva in collegio come ha
fatto il papà di Luca prima che si ammazzasse.
Volevo dirvi che anche a me come a Luca piacciono i ragazzi invece
che le ragazze, e quella volta in palestra ero molto contento […]. Ci
siamo capiti subito perché lui guardava sempre me e io lui. Poi una volta
durante la ricreazione io sono andato nei bagni della palestra dove non ci
va mai nessuno fuori dell’orario di lezione e l’ho aspettato là fino alla
fine della ricreazione, poi lui è arrivato.
Quando me lo sono visto davanti mi batteva il cuore per l’emozione e
mi tremavano le gambe […]. ci siamo rivisti ancora altre volte e una
anche a casa mia, quando i miei sono andati via. Fino a quando non ci
hanno scoperto in palestra! Dopo quella volta non l’ho più visto perché
suo padre lo ha ritirato da scuola e siccome lui era di un paese della
bassa, non mi ricordo bene quale non sono mai andato a trovarlo.
Quando ho saputo che si è ucciso ho pensato di farlo anche io ma dopo
non ci sono riuscito […] volevo dirlo anche al mio parroco, ma non l’ho
fatto perché lui una volta in chiesa ha parlato molto male della gente
come noi e tutti gli battevano le mani […] Io stavo ancora peggio […]. Ho
preferito dirle a voi queste cose perché dicono in giro che i ragazzi del
vostro gruppo difendono la gente come me e voi.
Io so chi siete voi […]. una volta sono rimasto a guardarvi […].
Prima o poi spero di venirvi a trovare che ho visto il vostro indirizzo
[…]. Se usate questa lettera per favore non parlate del nome della mia
scuola e del mio che però voglio dirvi.
(seguono nome e cognome)
P.S. Spero che Luca dall’alto dei cieli mi perdoni e sappia che lo penso
sempre e che gli voglio bene e se sapessi dov’è la sua tomba andrei a
mettergli i fiori.
Non vorrei aggiungere molto dopo questa testimonianza.
Avrete notato come un ragazzo di sedici anni, abbandonato in piena
adolescenza a se stesso, senza reti sociali, senza strumenti di
accettazione, senza modelli positivi e pubblici, viva la sua identità nel
silenzio, nella paura e si viva nella negazione dell’affettività e del diritto
a pronunciarla, del tutto privo della spensieratezza che vorremmo fosse
prerogativa di ogni adolescente.
Noi riteniamo che la scuola, come luogo di sapere e di conoscenza,
dovrebbe approfondire i suoi saperi sui problemi dei giovani, e quindi
anche di questi giovani; come luogo di educazione, dovrebbe schierarsi
dalla parte di chi ancora non ha diritti. Ma si trovano mille scuse:
l’omosessualità è una questione personale; oppure è una malattia, oppure
è una libera scelta. Perché dunque importunare la scuola?
E’ certo, però, che l’omosessualità non è una patologia e non è
neppure una scelta (sarebbe davvero una scelta molto scomoda): è un
dato di fatto che non si può negare col silenzio.
Riteniamo che la condizione personale degli studenti, di ogni
studente, dovrebbe essere la base di partenza per agire in qualità di
educatori….eppure sappiamo che le scuole non affrontano la fatica di
offrire sostegno educativo a questi adolescenti …si ha paura che gli altri
siano sconvolti o corrotti da questo esempio.
Immaginate cosa significhi trascorrere l’adolescenza sentendo
utilizzare la propria identità come il peggior insulto possibile tra i banchi
di scuola, nei corridoi, nei bagni. E osservare che i tuoi insegnanti, i
bidelli non reagiscono, le considerano “ragazzate”.
Se queste stesse azioni ed espressioni vengono rivolte, però, a
minoranze etniche o appartenenti a confessioni religiose minoritarie,
allora vengono prese seriamente in considerazione.
Certamente i docenti non possono essere riempiti di nuove
competenze ad ogni nuova emergenza; si tratta, qui, di una scelta di
sensibilità che comporta, quanto meno, la censura e l’utilizzo di testi
scolastici che promuovano la discussione e una seria ricerca su questi
argomenti. Ad esempio, perché in molti testi di scuola non si dice che
molti omosessuali sono stati sterminati nei campi di concentramento?
Perché si tace sempre sulla sessualità di persone geniali come
Michelangelo, Tasso, Leopardi, Saffo?
Perché i nostri figli non possono trovare dei modelli, in queste
persone, che permettano loro di crescere sentendosi persone previste e
positive in questo universo?
E ancora, come è possibile che i nostri ragazzi cerchino il suicidio, a
volte senza riuscirci (per fortuna) e che vi sia un alto tasso di dispersione
scolastica a carico di questi adolescenti e che quasi nessun docente,
nessun preside si interessi alla questione?
Noi genitori, purtroppo, veniamo molto spesso a conoscenza della loro
omosessualità dopo il periodo della scuola: ormai hanno trascorso l’intera
adolescenza nel silenzio e nel disprezzo.
Ma se noi riconosciamo la nostra mancanza, per non essere riusciti a
capire prima, perché le scuole restano ferme e insensibili ad ogni nostra
sollecitazione?
Ogni input esterno ed interno resta impermeabile alla questione che
poniamo noi oggi: se si parla di educazione sessuale, si cita solo la
relazione tra uomo e donna; se si parla di multiculturalismo, si trattano
solo le culture etniche; se si parla di diritti delle minoranze, si parla solo
delle minoranze straniere e religiose; se si tratta di prevenzione al
suicidio, si parla solo di anoressia…Sembra si voglia escludere la questione
delle famiglie con figli omosessuali da ogni programma. Perché?
Vorrei ora rendervi partecipi del nostro sgomento con una semplice
cifra: secondo l’Istat in Italia gli adolescenti tra i 14 e i 19 anni sono
3.500.00 circa. Ebbene il 5-10% sono omosessuali, cioè fino a
trecentocinquantamila.
Immaginate ora tutti questi ragazzi e queste ragazze condannati a
non esistere. E diteci cosa provate.
Se la scuola davvero vuole essere laica e plurale, se vuole – cioè -
insegnare a “parlare” a chi non ha mai avuto il diritto di farlo, dovrebbe
iniziare ad ascoltare i suoi ragazzi, oppure chi cerca di dare loro una
voce per farli uscire dal silenzio.
(testo redatto dall’Autrice)
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