Maria Luisa Bellavia, una delle mamme storiche di Agedo Nazionale ci ha lasciati il 10 febbraio. Per ricordare il suo impegno e il suo coraggio, ecco un suo intervento di quasi di 10 anni fa,
ancora tremendamente attuale, che suo figlio Marco ci ha gentilmente
concesso di pubblicare sul sito. A Marco e alla famiglia il nostro
abbraccio affettuoso. A Maria Luisa la nostra gratitudine per il lavoro
pionieristico svolto in Italia come genitore Agedo.
MINORI E FAMIGLIE SENZA DIRITTI:
LA SCUOLA DAVANTI AGLI ADOLESCENTI OMOSESSUALI
Marialuisa Muscarà Bellavia
Agedo Onlus – Genitori di
omosessuali
Come madre
di un giovane omosessuale, appartengo all’associazione di volontariato AGEDO,
che è tra i sostenitori di questo convegno insieme alle associazioni “31
ottobre”, “Genitori Democratici”, “Semaforo blu”, “Rete Scuole” e Centro
Culturale Protestante.
Noi genitori di
omosessuali sappiamo bene come la scuola italiana non pensi ai nostri figli
come a dei soggetti da educare secondo la propria identità, e non si preoccupi
mai dei nostri problemi che, forse, considera fatti privati.
In realtà i problemi degli
adolescenti omosessuali e delle loro famiglie hanno una chiara dimensione
pubblica, non solo perché i nostri figli non sono un’esigua minoranza e
costituiscono il 5-10% della popolazione scolastica, bensì perché un clima
scolastico disagevole e disagiato per un adolescente omosessuale si
ripercuote sulla famiglia e su tutte quelle persone che lo frequentano: i
compagni e le compagne, i docenti, gli educatori, il gruppo dei pari; tutti
quelli che si trovano in relazione con una persona che non si sente prevista in
questo mondo, che non trova con chi interagire alla pari,
con chi confidarsi senza temere lo scherno e il giudizio morale.
Questi nostri figli,
adolescenti spesso in crisi per la loro difficile situazione di accettazione
personale, trovano nella scuola, tra compagni e insegnanti, nuove difficoltà e
sofferenze causate dallo stigma sociale, da azioni di bullismo poco conosciute
e non contrastate; vivono nel silenzio più assoluto: c’è
una negazione da parte del mondo scolastico, dell’esistenza stessa del problema
o, quanto meno, dell’idea che un problema così scottante sia di sua competenza.
Credo che quanto ora vi
leggerò, scritto da uno studente sedicenne veronese in forma di lettera – un
po’ sgrammaticata - possa aiutarvi ad intuire, almeno parzialmente, lo stato
d’animo
di un giovane omosessuale, la sua angoscia, la paura di non essere capito in famiglia e nella società. Venne recapitata , su un foglietto, alla sede del movimento gay di Verona.
di un giovane omosessuale, la sua angoscia, la paura di non essere capito in famiglia e nella società. Venne recapitata , su un foglietto, alla sede del movimento gay di Verona.
“Verona
3 di giugno 1999
L’altro
giorno mentre stavo con la mia compagnia, un ragazzo ha detto che, mentre stava
ascoltando la radio dei comunisti ha sentito una trasmissione di froci, i quali
parlavano di un ragazzo che si è ucciso perché lo avevano scoperto a scuola,
che stava con un altro. Quando ho sentito
quello che diceva questo ragazzo, mi è venuto un colpo al cuore, perché questo
ragazzo che è morto si chiamava Luca, una volta ci hanno trovati insieme nella
doccia della palestra.
Io
però ho dovuto dire che era stato lui, sennò i compagni di scuola andavano a
dirlo ai proff e mi sputtanavano anche con la mia famiglia così mio padre mi
portava dal psicologo e mi metteva in collegio come ha fatto il papà di Luca
prima che si ammazzasse.
Volevo dirvi che anche a me come a Luca piacciono i
ragazzi invece che le ragazze, e quella volta in palestra ero molto contento
[…]. Ci siamo capiti subito perché lui guardava sempre me e io lui. Poi una
volta durante la ricreazione io sono andato nei bagni della palestra dove non
ci va mai nessuno fuori dell’orario di lezione e l’ho aspettato là fino alla fine
della ricreazione, poi lui è arrivato. Quando me lo sono visto davanti mi
batteva il cuore per l’emozione e mi tremavano le gambe […]. ci siamo rivisti
ancora altre volte e una anche a casa mia, quando i miei sono andati via. Fino
a quando non ci hanno scoperto in palestra! Dopo quella volta non l’ho più
visto perché suo padre lo ha ritirato da scuola e siccome lui era di un paese
della bassa, non mi ricordo bene quale non sono mai andato a trovarlo.
Quando
ho saputo che si è ucciso ho pensato di farlo anche io ma dopo non ci sono
riuscito […] volevo dirlo anche al mio parroco, ma non l’ho fatto perché lui
una volta in chiesa ha parlato molto male della gente come noi e tutti gli
battevano le mani […] Io stavo ancora peggio […]. Ho
preferito
dirle a voi queste cose perché dicono in giro che i ragazzi del vostro gruppo
difendono la gente come me e voi. Io so chi siete voi […]. una volta sono
rimasto a guardarvi […].
Prima
o poi spero di venirvi a trovare che ho visto il vostro indirizzo […]. Se usate
questa lettera per favore non parlate del nome della mia scuola e del mio che
però voglio dirvi.
(seguono
nome e cognome)
P.S.
Spero che Luca dall’alto dei cieli mi perdoni e sappia che lo penso sempre e
che gli voglio bene e se sapessi dov’è la sua tomba andrei a mettergli i fiori."
Non vorrei aggiungere
molto dopo questa testimonianza.
Avrete notato come un ragazzo
di sedici anni, abbandonato in piena adolescenza a se stesso, senza reti
sociali, senza strumenti di accettazione, senza modelli positivi e pubblici,
viva la sua identità nel silenzio, nella paura e si viva nella negazione
dell’affettività e del diritto a pronunciarla, del tutto privo della
spensieratezza che vorremmo fosse prerogativa di ogni adolescente.
Noi riteniamo che la
scuola, come luogo di sapere e di conoscenza, dovrebbe approfondire i suoi
saperi sui problemi dei giovani, e quindi anche di questi giovani; come luogo
di educazione, dovrebbe schierarsi dalla parte di chi ancora non ha diritti. Ma
si trovano mille scuse:
l’omosessualità è una
questione personale; oppure è una malattia, oppure è una libera scelta. Perché
dunque importunare la scuola?
E’ certo, però, che l’omosessualità non è una
patologia e non è neppure una scelta (sarebbe davvero una scelta molto
scomoda): è un dato di fatto che non si può negare col silenzio. Riteniamo che
la condizione personale degli studenti, di ogni studente, dovrebbe essere la
base di partenza per agire in qualità di educatori….eppure sappiamo che le
scuole non affrontano la fatica di offrire sostegno educativo a questi
adolescenti …si ha paura che gli altri siano sconvolti o corrotti da questo
esempio.
Immaginate cosa significhi trascorrere l’adolescenza sentendo utilizzare
la propria identità come il peggior insulto possibile tra i banchi di scuola, nei corridoi,
nei bagni. E osservare che i tuoi insegnanti, i bidelli non reagiscono, le
considerano “ragazzate”. Se queste stesse azioni ed espressioni vengono
rivolte, però, a minoranze etniche o
appartenenti a confessioni religiose minoritarie, allora vengono prese
seriamente in considerazione.
Certamente i docenti non possono essere riempiti
di nuove competenze ad ogni nuova emergenza; si tratta, qui, di una scelta di sensibilità che comporta,
quanto meno, la censura e l’utilizzo di testi scolastici che promuovano la
discussione e una seria ricerca su questi argomenti. Ad esempio, perché in
molti testi di scuola non si dice che molti omosessuali sono stati sterminati
nei campi di concentramento? Perché si tace sempre sulla sessualità di persone
geniali come Michelangelo, Tasso, Leopardi, Saffo?
Perché i nostri figli non
possono trovare dei modelli, in queste persone, che permettano loro di crescere
sentendosi persone previste e positive in questo universo?
E ancora, come è possibile
che i nostri ragazzi cerchino il suicidio, a volte senza riuscirci (per
fortuna) e che vi sia un alto tasso di dispersione scolastica a carico di
questi adolescenti e che quasi nessun docente, nessun preside si interessi alla
questione?
Noi genitori, purtroppo,
veniamo molto spesso a conoscenza della loro omosessualità dopo il periodo
della scuola: ormai hanno trascorso l’intera adolescenza nel silenzio e nel
disprezzo.
Ma se noi riconosciamo la
nostra mancanza, per non essere riusciti a capire prima, perché le scuole
restano ferme e insensibili ad ogni nostra sollecitazione?
Ogni input esterno ed
interno resta impermeabile alla questione che poniamo noi oggi: se si parla di
educazione sessuale, si cita solo la relazione tra uomo e donna; se si parla di
multiculturalismo, si trattano solo le
culture etniche; se si parla di diritti delle minoranze, si parla solo delle minoranze straniere
e religiose; se si tratta di prevenzione al suicidio, si parla solo di
anoressia…Sembra si voglia escludere la questione delle famiglie con figli
omosessuali da ogni programma. Perché?
Vorrei ora rendervi partecipi del nostro
sgomento con una semplice cifra: secondo l’Istat in
Italia gli adolescenti tra i 14 e i 19 anni sono 3.500.000 circa. Ebbene il
5-10% sono omosessuali, cioè fino a trecentocinquantamila. Immaginate ora tutti
questi ragazzi e queste ragazze condannati a non esistere. E diteci cosa
provate.
Se la scuola davvero vuole essere laica e plurale, se vuole – cioè - insegnare
a “parlare” a chi non ha mai avuto il diritto di farlo, dovrebbe iniziare ad
ascoltare i suoi ragazzi, oppure chi cerca di dare loro una voce per farli
uscire dal silenzio.
(testo
redatto dall’Autrice Marialuisa Muscarà
Bellavia)
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